
FER industriali, speculazione e fondi esteri all’assalto della Tuscia
Mentre il pensiero collettivo vola verso spiagge, sagre e aperitivi al tramonto, c’è un altro tramonto che avanza in silenzio: quello del paesaggio. Ma non per cause naturali. Quello che si consuma nelle aree interne del nostro Paese — e nella Tuscia in particolare — è uno stravolgimento lento, sistemico e silenzioso, spinto da una retorica green che ha perso contatto con il buon senso, con la partecipazione democratica e con la tutela del bene comune.
Se alcuni mesi fa avevamo già lanciato l’allarme su questo tema (Assotuscania, aprile 2024 https://www.assotuscania.it/?p=3739), oggi lo scenario si è aggravato. E il silenzio di agosto lo rende ancora più inquietante.
Benvenuti nelle aree… da sacrificare
Le cosiddette aree interne – quelle più ricche di biodiversità, bellezza e potenziale umano – sembrano diventate nei nostri territori il terreno perfetto non per lo sviluppo, ma per l’abbandono istituzionale e la speculazione industriale.
Lo denuncia chiaramente UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), che rappresenta i comuni montani e i territori meno serviti: “Dove mancano servizi e attenzione pubblica, arrivano gli interessi forti”[1].
Il problema è che pochi investono per restituire vita a questi luoghi, se non per installare impianti FER industriali — fotovoltaici o eolici — che ne modificano radicalmente l’identità, sottraendo suolo agricolo e disegnando nuove servitù senza compensazioni per chi quei luoghi li abita.
Il World Economic Forum ci ricorda invece che in tutto il mondo crescono le politiche che incentivano a tornare a vivere nei borghi e nelle aree rurali per ridurre l’impatto delle città sovraffollate, promuovere salute, sostenibilità e qualità della vita[2].
E in Europa, secondo un’analisi del Financial Times, tra il 2014 e il 2024 le aree rurali hanno perso 8 milioni di abitanti, mentre aumentano i progetti che cercano di invertire la rotta con smart working, digitalizzazione e rigenerazione abitativa[3].
Bisognerebbe quindi invertire proprio radicalmente la rotta, mettendo in priorità un nuovo modello di sviluppo, una nuova economia, stili di vita più sostenibili, grazie anche all’aiuto che ci arriva dalle nuove tecnologie digitali.
La Tuscia fotovoltaica: un primato amaro
Il 23 luglio Viterbo News 24 titolava con enfasi: “Viterbo è la più fotovoltaica d’Italia”.
Il dato: quasi il 90% degli impianti fotovoltaici del Lazio è concentrato nel viterbese. Non un orgoglio, ma l’evidenza di uno squilibrio profondo.
Già nel 2022 la Regione Lazio con la delibera di Giunta regionale metteva nero su bianco che le FER nella provincia di Viterbo “sono al di sopra della media nazionale per i livelli raggiunti nella produzione di energia elettrica anche attraverso gli impianti fotovoltaici. Tali livelli hanno superato non solo i traguardi previsti per il 2030, ma anche quelli per il 2050.”
Ma senza strumenti concreti, decisioni politiche adeguate e una mobilitazione consapevole dei cittadini — spesso ignari, rassegnati o illusi di avere una fetta della grande torta — la macchina non si è fermata.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti:
– Campi agricoli trasformati in distese recintate da pannelli industriali;
– una campagna irriconoscibile;
– un paesaggio reso ostile per il turismo di qualità e lo sviluppo agricolo sostenibile.
Il modello energetico dominante, lungi dall’essere “green”, è spesso diseguale, opaco, e dannoso per il territorio che lo ospita.
Fondi esteri, opacità e zero partecipazione
Il 19 luglio, Il Messaggero – Economia ha pubblicato una notizia che completa il quadro: il territorio della Tuscia è diventato terreno di conquista per fondi esteri — in particolare dell’Est Europa e persino dell’Azerbaigian — che operano in cordata con grandi multinazionali dell’energia.
Le modalità?
– Acquisto di suolo agricolo o diritti di superficie;
– operazioni giuridicamente ineccepibili, ma socialmente non trasparenti;
– assenza di comunicazione preventiva o coinvolgimento delle comunità, nonostante la normativa sulla partecipazione lo richieda esplicitamente.
Chi decide il futuro del nostro paesaggio?
Chi ne trae vantaggio?
Chi paga i costi ambientali, identitari, economici e sociali?
Conclusione: serve una sveglia civica, anche ad agosto
Il paesaggio non è un vuoto da riempire. È un’identità viva, condivisa, stratificata, che ci appartiene e che va custodita.
Assotuscania continuerà a dare voce a chi voce non ce l’ha: la terra, la bellezza, le comunità silenziose.
Non si può parlare di transizione ecologica se i territori vengono usati come discariche energetiche.
Chiediamo trasparenza, equità, pianificazione partecipata, visione di futuro.
Anche ad agosto.
Ufficio Stampa Assotuscania
Fonti e note
[1] UNCEM – Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani. https://uncem.it/benvenuti-nelle-aree-interne
[2] World Economic Forum: ‘Why are countries paying people to leave cities and move to rural areas?’. https://www.weforum.org/stories/2023/05/countries-encouraging-people-to-move-to-smaller-towns
[3] Financial Times: ‘Europe’s rural areas lose 8 million people in 10 years’. https://www.ft.com/content/f77b258f-1084-4bd1-bd99-cb07c721e3ee