
Viviamo in un’epoca in cui il lavoro è sempre più altalenante e sempre meno stabile e duraturo, con contratti brevi e proposte a tempo determinato. I lavoratori moderni alternano periodi di operatività ad altri di inattività in cui, per riuscire a sopravvivere, devono sfruttare soluzioni alternative, come prendere la disoccupazione.
Questa tendenza, se economicamente può essere tamponata grazie alla NASpI, crea però “buchi” temporali all’interno di un Curriculum Vitae che, agli occhi dei nuovi recruiter, possono generare incertezza e dubbi sulla continuità e solidità del percorso professionale del candidato. Da qui l’importanza di valorizzare questi periodi di inattività nel CV, per presentarsi in modo trasparente e professionale ai futuri selezionatori.
Essere preparati e trasparenti
Durante un colloquio di lavoro, è altamente probabile che i selezionatori chiedano spiegazioni sui periodi di inattività presenti. Il segreto per fare una buona impressione è non farsi trovare impreparati e non nascondere nulla.
Questo significa essere pronti, soprattutto psicologicamente, a rispondere con chiarezza, trasparenza e soprattutto strategia. Mostrare serenità e consapevolezza è fondamentale per non innescare incertezza e ambiguità, così come rispondere con totale onestà, guidando la narrazione per far vedere che ogni fase del proprio percorso ha avuto un senso, un insegnamento, una direzione.
Evidenziare le attività svolte
Un’altra strategia utile a trasformare i periodi di inattività presenti nel CV in opportunità sfruttate per acquisire competenze e sviluppare la propria crescita personale è valorizzare le attività svolte.
Prima di tutto, vanno menzionati corsi di formazione o di aggiornamento effettuati, così come le certificazioni ottenute, per rimarcare la voglia di migliorarsi e di crescere professionalmente, anche al di fuori di un impiego formale. Poi, sono da valorizzare esperienze di volontariato o progetti personali, anche non retribuiti: questo dimostra il senso di iniziativa e il valore sociale e individuale.
Infine, vanno elencate anche attività e viaggi culturali a cui si è preso parte, per mettere in mostra proattività e capacità di apprendimento continuo, anche nei momenti più difficili.
Inserire le esperienze lavorative brevi
I recruiter conoscono molto bene la situazione instabile del mercato del lavoro italiano. Questo aspetto apre la strada alla possibilità di inserire nel curriculum anche le esperienze lavorative più brevi, ovvero quelle che si sono concluse in poche settimane o mesi.
Includerle non è solo un modo per raccontare il percorso professionale svolto fino a quel momento, ma è anche una strategia essenziale per dimostrare la propria disponibilità a mettersi in gioco, la flessibilità e la voglia di imparare. Il segreto è argomentare ciò che si è appreso a livello di competenze, consapevolezza e nuovi obiettivi.
Non andare nello specifico
Ci sono poi tutta una serie di accorgimenti necessari che aiutano a ridurre l’evidenza di eventuali “buchi” nel CV, ma senza omettere le informazioni importanti.
Uno fra tutti consiste nell’indicare, per i periodi di inattività lavorativa, solo l’anno di inizio e fine delle esperienze svolte, evitando di specificare i mesi. Al contrario, è importante approfondire con cura e dettagli tutte le competenze e soft skills acquisite, gli obiettivi raggiunti e la motivazione nel rientrare nel mondo del lavoro.