Lella Biagi ricorda Alfio Pannega
Il primo ricordo che ho di Alfio risale alla mia infanzia. Erano gli anni ’70. Quale Viterbese non se lo ricorda girare per la città? Intento a selezionare e riciclare con cura ciò che riteneva recuperabile tra gli imballi scartati dalle attività dei negozianti del centro. Li sistemava poi sul carretto per portarli al macero.
Lo conobbi personalmente anni dopo ,quando per lui era cominciata la seconda vita. Confrontarsi e condividere la quotidianità con i ragazzi che avevano occupato il Centro Sociale fu infatti per Alfio una vera rinascita. Nonostante si definisse “un fiore appassito nel mezzo del giardino della vita” a me dava l’idea di un meraviglioso girasole.
Festeggiai a Valle Faul la mia laurea ed ebbi in quella occasione il piacere di ballare con lui per tutta la serata. Si aiutava con l’inseparabile bastone ma come teneva il ritmo! Mi sorprese la disinvoltura e la spontaneità con cui stava in mezzo ai giovani, sempre pronto al confronto, ad insegnare ed imparare nuove cose. Unico il suo spirito ironico e giocoso. Non si stancava mai di ripetere quanto fosse importante la cultura: “A rega’, dovete studia’, non ve fate magna’ la polenta su la capoccia”. Aveva potuto studiare solo pochi anni ma mai prima di lui avevo conosciuto qualcuno che provasse un amore così viscerale per i libri, primo su tutti la Divina Commedia, quella con le illustrazioni di Gustavo Dorè.
Ho conosciuto Alfio intimamente solo nel 2007, anno in cui era ricoverato a Villa Immacolata. Con Gigi andavamo periodicamente a trovarlo e mi fece molto ridere quando una volta disse: “A Gì, mo’ che me sento mejo vorrei usci’… e che sto a fa’ qui? Il riempiticcio?”.
Da lì in poi quante serate insieme, spesso a casa nostra accompagnato da Luciano ed Alessio. Quando c’era anche Mario poi, quante risate! Alfio si divertiva a stuzzicarlo e a prenderlo in giro per l’età che avanzava: “A Marieee’… ma come te senti a quest’ora?”.
Innumerevoli anche i pranzi e le cene sociali a Castel d’Asso, dove il Centro si era trasferito nel 2006.
Finalmente nel 2010 il grande evento. La pubblicazione del suo libro di poesie. Vederlo dispensare autografi il giorno dell’inaugurazione riempi di gioia il cuore di tutti. Ricordo che una sera giù al centro Alessio urtò incidentalmente il tavolo dove Alfio si era appoggiato per firmare le dediche facendogli cadere la penna dalla mano: “Ahooo’ attento! Non lo vedi che sto a lavorà?”.
Vedere pubblicate le poesie fu per Alfio una soddisfazione immensa, forse la più grande. Sarebbe stato bello se in quella occasione avesse avuto già la casetta prefabbricata che il Comune gli aveva promesso.
Memorabile fu la mattina in cui Alfio rifiutò, devo dire con gran classe, la targa celebrativa con cui il Comune intendeva insignirlo: “la rivengo a prende quando me date casa”. Grande Alfio intelligente e saggio, nelle sue parole non traspariva ombra di sfida o contestazione, ma un invito a rispettare la parola data. Poi, perché no? Poi ben venga anche l’onorificenza, una targa da “appiccare” insieme a quella vinta al torneo di briscola.
La sua ultima battaglia fu proprio quella per un diritto che è di tutti: il diritto alla casa. Alfio è altresì il simbolo della lotta nonviolenta in difesa della pace, della giustizia sociale, della protezione degli ultimi.
Se n’è andato così come ha sempre vissuto, in totale libertà, semplicemente non svegliandosi. Un addio dolce e sereno, senza sofferenza, quasi una ricompensa per l’integrità morale che ha sfoggiato per tutta la sua lunga vita.
Ricordarlo significa cercare di mettere in pratica quello che per me è stato il suo più grande insegnamento, quello per il quale lui aveva una predisposizione naturale: vedere la bellezza ovunque, negli esseri umani, negli animali, nelle piante. Sono certa che per tutti quelli che lo hanno conosciuto Alfio rappresenta l’esempio di come l’umanità dovrebbe essere.
Lella Biagi
Diego Sposetti ricorda Alfio Pannega
Ho conosciuto Alfio grazie a mio padre, che si fermava a parlare con lui quando lo incontravamo camminando per il centro di Viterbo. Da piccolo ero un po’ intimorito da questo strano signore, un po’ trasandato, col suo carretto carico di cartoni, seguito da una moltitudine di cani. Lo ricordo alle Feste dell’Unità che il Partito Comunista organizzava a Pratogiardino. Era una presenza fissa, sempre indaffarato a ripulire gli stand della festa. Appuntamento fisso alla Festa dell’Unità era la cena di compleanno di Alfio, di mio padre e mia zia Angela, tutti e tre nati negli stessi giorni.
Anni dopo, avevo quindici anni, seppi per caso dell’occupazione di un centro sociale a Viterbo. Ne avevo sentito parlare dei centri sociali, ma non avevo ben capito cosa fossero. Andai a fare un giro per vedere di cosa si trattasse. La prima persona che incontrai fu proprio Alfio, con un grosso e pesante divano-letto caricato sulle spalle, incastrato nel cancelletto d’ingresso, soffiava e imprecava tentando di divincolarsi da quella situazione. I ragazzi che avevo conosciuto all’ex gazometro di Valle Faul erano entusiasti per l’occupazione, ma il più entusiasta di tutti era proprio Alfio. Stentava a credere a quello che stava succedendo. In lacrime non si capacitava come quei giovani avessero potuto scegliere quel posto dimenticato da tutti, ormai più simile a una discarica invasa da siringhe e rovi che non più a un gazometro. Nel ’93 Alfio non era più tanto giovane ma aveva ancora energie da regalare, ne ha avute per tutto il tempo che ho avuto la fortuna di condividere con lui.
Il suo contributo al centro sociale fu fondamentale, condivise da subito tutto quello che poteva senza mai chiedere nulla in cambio. Negli anni trascorsi nel centro sociale, Alfio ha vissuto una seconda giovinezza, partecipando alle iniziative e alle assemblee, sempre presente alle serate con concerti e spettacoli. I suoi consigli e le sue vedute sono stati fondamentali in molti momenti difficili e non perse mai l’animo anche quando i fascisti di viterbo tentarono di aggredirlo o quando tirarono una bottiglia molotov sulla sua casa. L’arrivo del centro sociale aveva restituito dignità ad Alfio, che al momento dell’occupazione viveva solo nella sua casa accanto a Porta Faul. La casa gli era stata assegnata dal Comune, che però non aveva mai provveduto a renderla vivibile. Una sola stanza con cucina e letto senza impianto elettrico, un bagno minuscolo nel quale era impossibile entrare in due e provvisto di un piccolo lavabo, un gabinetto e una tinozza al posto di una doccia. Seppure alcuni cittadini di Viterbo lo stimassero e lo rispettassero, nei fatti era trattato come un reietto, era oggetto di scherzi crudeli e scherno. Godeva dell’aiuto di poche persone, come la signora che viveva di fronte a lui a Valle Faul, che di tanto in tanto gli dava una mano a rassettare casa e a lavare i panni.
Ho mille ricordi di lui che, adagiato su un divano, sembrava dormire ignaro delle discussioni nelle quali ci perdevamo, invece era un attento ascoltatore. Con tempistiche perfette apriva un occhio e diceva la sua, lasciandoci spesso interdetti per la franchezza e la freschezza delle sue parole. Condivideva la sua esperienza di vita quasi scusandosi, senza forse realizzare la profondità del suo pensiero e dei suoi sentimenti. Ci raccontava spesso della sua vita e delle sue esperienze, vissute sempre con la compagnia di sua madre. Ci descriveva i tempi duri vissuti dopo l’infanzia, del dramma della guerra, della vita nella grotta in strada bagni, delle grandi gioie ricavate da piccole cose, come un pane fresco e una tazza di latte ricevuti in cambio di un lavoretto occasionale. Non ho mai incontrato nuovamente una persona autentica e sincera come lui. Una persona dalla generosità infinita, che sapeva dare un nome a sensazioni e stati d’animo dei quali le persone più fortunate ignorano l’esistenza. Con lui era possibile ridere e scherzare come se fosse stato un ventenne come noi. Scriveva poesie e cantava stornelli, improvvisava in ottava rima e, nei momenti più solenni, recitava a memoria la Divina Commedia della quale aveva profonda conoscenza.
Alfio era una vera forza della natura. Ci lasciò a bocca aperta raccogliendo con le mani, indurite dall’incessante suo lavoro, un ciocco infuocato che era caduto dal camino per rimetterlo nel fuoco. Come quando col suo passo caratteristico, dovuto a una caduta da un albero di noce molti anni prima, si congedava dicendo “vado a Viterbo” e si incamminava curvo su per la salita di San Clemente. A mia memoria Alfio non ha mai avuto un lavoro salariato, eppure le sue giornate erano sempre occupate da qualche attività che gli permettesse di avere le risorse per sostentarsi. Lo potevi vedere occupato a smontare elettrodomestici o a spellare cavi per recuperare il rame, a selezionare altri metalli di recupero, a pressare carte e cartoni da riciclare. Nei momenti in cui non era indaffarato lo potevi vedere seduto a contemplare la natura e a trarne una fascinazione fanciullesca, oppure appoggiato sul letto ad ascoltare la radio o a leggere. Aveva un grande libro che illustrava le macchine di Leonardo e passava ore a studiarne le forme e il funzionamento.
Quando il centro sociale si trasferì fuori Viterbo, Alfio scelse di seguirlo e trascorse i suoi ultimi anni a Castel D’Asso. La sua forza di volontà non era stata fiaccata dall’età come invece accadeva per il suo corpo. Ha offerto il suo contributo fino al giorno della sua scomparsa, avvenuta in maniera serena nel letto della sua nuova abitazione.
Ora non sono più tanto giovane nemmeno io e non tutti quelli coi quali ho condiviso il mio percorso di vita sono ancora presenti.
Alfio è tra i pochi dei quali continuo a soffrire la perdita.
Diego Sposetti
Alfonzo Denocchiari ricorda Alfio Pannega
Se lo sarebbe creso ‘r poro Arfietto
che li regazzi der centro sociale
pe’ ‘r centenaro arebbono architetto
tutte ‘ste feste, ‘sto gran carnovale?
Io nu’ lo so, mma pppenzo che ‘n pochetto
magara ce sperava, e bben’ o mmale
essi ce lo sapevono e a stecchetto
tirorno su ppe’ llui ‘sta cattetrale.
Cosi’ cquell’omo che ffinche’ ccampava
nun ceva gnente e tutto arigavala
e ccampo’ ssempre ‘n fonno a li scalini
j’e’ stato reso onore pe’ ‘n annata
e ddedicorno a esso la ggirata
er tre settemmre a ssera li facchini.
Alfonso Denocchiari
Ricordando Alfio opponiamoci a tutte le guerre e a tutte le uccisioni.
Ricordando Alfio adoperiamoci per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ricordando Alfio difendiamo ed accudiamo quest’unico mondo vivente di cui tutte e tutti siamo parte, unica casa comune dell’intera famiglia umana.
Ricordando Alfio costruiamo la pace disarmata e disarmante.
Ricordando Alfio la nonviolenza e’ in cammino.
Le amiche e gli amici di Alfio Pannega impegnati nelle commemorazioni in occasione del centenario della nascita.
